SARA' VERO?
28-09-2018 di Antonio Altieri
Per migliorare la proposta turistica della costa keniana non bisogna solo pensare ai servizi degli hotel e dei ristoranti, alla tutela dell’ambiente e alla sicurezza, ma anche cercare di internazionalizzare e rendere più credibile questi paradisi che, anche se qualcuno non ci pensa, sono situati in Africa.
Parlando di Watamu, una delle espressioni più grottesche per chi si approccia al turismo, è rappresentata dagli “operatori di spiaggia” (i cosiddetti beach boys) che accolgono alla loro maniera, più o meno invadente ma quasi sempre colorata e simpatica, gli stranieri in vacanza.
Al di là di sporadici episodi di eccessiva insistenza nel proporre le loro offerte e “mercanzie”, questo esercito di giovanotti locali spesso aitanti e provvisti di treccine rasta di ordinanza, hanno qualcosa che non va: il nome d’arte (o di “battaglia”), quasi sempre italiano.
Non sono solo i residenti di Watamu e dintorni a sorprendersi e sorridere dei loro epiteti, ma ultimamente è stato sollevato anche un caso tra gli esperti di comunicazione turistica del Paese.
I nomignoli italiani di alcuni beach boys sono diventati infatti anche nomi di società, negozi, agenzie di safari, barche ed altre attività.
Invece di trovare scritto su una Land Rover o sull’insegna di una boutique “Katana” o “Charo”, o vedere una glass-boat di nome “Ibrahim” o “Suleiman”, ci si trova davanti a “Prezzemolo”, “Zucchero” e “Peperoni”, oppure si viene avvicinati da “Picasso”, “Totti” o “Ramazzotti”.
Questo nella migliore delle ipotesi, quando invece non si tratta di soprannomi equivoci e maliziosi come “Toblerone”, “Torre di Pisa”, “Bancomat” e “Salame Milano”.
La lista potrebbe continuare con “Uovo”, “Furia Cavallo”, “Franco Nero” e “Caviale Beluga”.
Sono tanti i beach boys, ma quasi tutti hanno in comune questa spiritosa abitudine che secondo loro attrae un certo tipo di turista.
C’è evidentemente chi non è di questo parere. Da Nairobi, i responsabili marketing di un’azienda spagnola incaricata due anni fa di eseguire studi e preparare un documento per migliorare l’immagine del turismo in Kenya, hanno proposto di portare al Parlamento della Contea di Kilifi una legge per vietare alla popolazione locale l’utilizzo e la commercializzazione di soprannomi italiani.
Torniamo dunque a conoscerli e chiamarli con i loro nomi: Kazungu, Ndoro, Kaingu, Tumaini, Amani, Changawa. O al limite con i loro nomi cristiani o mussulmani: Josephat, Phestus, Onesmus, Leviticus, Isaac, Abdelaziz, Hassan, Mohamed, Nassir.
Sarebbe un bel passo avanti per sprovincializzare Watamu e renderla una meta che non campa alla giornata e di espedienti stagionali, ma che cresce e coltiva la sua originalità.
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